Secondo il modello cognitivo dell’ansia (Clark & Beck, 2010), quando uno stimolo (un pensiero, un'immagine, una sensazione fisica) o una situazione (interna o esterna) potenzialmente minacciose occorrono, l’individuo esegue due tipi di valutazione. Durante la prima, lo stimolo è analizzato rapidamente e in modo involontario, determinando l’attivazione di sintomi tipicamente ansiosi. Si attiva in questo primo caso la modalità primitiva di minaccia.
Durante la seconda valutazione, il reale pericolo della minaccia e soprattutto le personali abilità di affrontarlo sono analizzate razionalmente e in modo costruttivo, determinando un decremento dei sintomi ansiosi se la valutazione è positiva (cioè, se l’individuo pensa di essere in grado di superare la situazione), o un aumento dei sintomi ansiosi se la valutazione è negativa (cioè, se pensa di non essere in grado di superarla). Il paziente tende a sovrastimare l'imminenza, la probabilità e la gravità dell'evento e a sottostimare la capacità di coping (fronteggiamento) e la disponibilità di aiuto esterno, come rappresentato nella formula cognitiva dell'ansia.
Nello specifico, il modello proposto da Clark (1986), modificato da Wells (1997), spiega il disturbo di panico come risultato di una interpretazione errata delle normali sensazioni fisiche, supportata dall’attenzione selettiva verso tali sensazioni e rinforzata dai comportamenti di evitamento e dalle strategie comportamentali protettive (Clark 1986; Wells, 1999).
Il circolo vizioso che alla fine culmina in un attacco di panico, si sviluppa quando uno stimolo percepito come minaccioso crea uno stato di forte preoccupazione.
Il soggetto interpreta in modo catastrofico le sensazioni mentali e somatiche che l'accompagnano. Sperimentando un ulteriore incremento della preoccupazione, si acuiscono le sensazioni somatiche e così via, fino all’esplosione vera e propria dell’attacco di panico.
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